IL CONSOLIDAMENTO DEL “CUBICOLO DI LEONE” NELLE CATACOMBE DI COMMODILLA A ROMA
La situazione del sito
Su incarico della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra nel novembre 2019, la IDES s.r.l svolgeva una Campagna Diagnostica strumentale in situ: dal confronto con altre precedenti del 2016, si confermava che gli elementi murari del cubicolo perimetrali e la copertura erano al limite della capacità portante.
Nello specifico:
- il carico presente negli elementi portanti era molto elevato rispetto ai valori di riferimento dei parametri meccanici standard;
- lo stato tensionale negli elementi portanti verticali del cubicolo era notevolmente superiore rispetto a quello degli elementi portanti del cunicolo adiacente;
- gli elementi strutturali del cubicolo presentavano un elevato grado di disomogeneità, con spazi vuoti piuttosto ampi all’interno;
- il quadro fessurativo e deformativo erano di rilevante entità.
Pertanto, prima delle operazioni di restauro, che comunque dovranno prevedere anche interventi di consolidamento degli elementi in muratura, si rendeva necessario realizzare un intervento strutturale dedicato che consentisse di distribuire in modo più efficiente parte del peso gravante sul cubicolo.
La campagna diagnostica
La Campagna Diagnostica strumentale in situ è stata eseguita tramite analisi endoscopiche e indagini georadar. Le indagini hanno permesso di individuare e localizzare in modo non distruttivo anomalie e/o disomogeneità all’interno dei setti murari del cubicolo e dello strato di tufo posto tra la quota stradale e l’estradosso della volta del cubicolo.
L’intervento: i tiranti in fibra di carbonio
Per contenere le azioni degli elementi spingenti – quali archi e volte – e incrementare la resistenza della struttura, migliorandone il comportamento globale, è stato progettato e realizzato un sistema bidirezionale di tiranti orizzontali interni di tipo attivo, pretensionati in opera lungo due direzioni pressoché ortogonali e realizzati in materiale composito fibro-rinforzato in carbonio (C-FRP, Carbon Fiber Reinforced Polimer) costituito da barre pultruse in fibra di carbonio, impregnate con resina vinilestere e superficie ricoperta con sabbia di quarzo.
Oltre alle numerose realizzazioni eseguite, a partire dal 2006 questa tecnologia è stata affinata e sperimentata dalla IDES anche con il DICATA, Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio e Ambiente dell’Università degli Studi di Brescia, che ha dato avvio alle attività di ricerca e sviluppo nel campo degli ancoraggi iniettati realizzando appositi banchi prova per testare il sistema.
Nell’ambito del rinforzo delle strutture da cui si esiga il rispetto sia dell’esistente che della “logica costruttiva” del manufatto, la fibra di carbonio può essere considerata come la più valida alternativa all’acciaio nel campo delle chiodature permanenti, degli ancoraggi e del rinforzo di strutture nel sottosuolo e/o costruite in prossimità dell’acqua.
Eccellente resistenza alla corrosione, alta resistenza alla fatica e lunga durabilità sono caratteristiche che si combinano all’alta resistenza a trazione del carbonio in rapporto al peso; quest’ultima permette di produrre barre aventi con un diametro minore rispetto a quelle in acciaio, mentre la leggerezza e la flessibilità lo rendono facile da maneggiare in cantiere: nel caso di specie è stato possibile inserire barre di lunghezza fino a 4-5 m nonostante le ridotte dimensioni dei cunicoli, aventi larghezza spesso inferiore ad 1 metro.
La griglia bidirezionale è così costituita da tiranti pre-tensionati – grazie all’eccellente resistenza alla fatica della fibra di carbonio ed ai sistemi di bloccaggio – mentre la durabilità dell’intervento è garantita dal fatto che non è richiesta protezione contro la corrosione, tipica invece degli elementi metallici.
Infatti nelle barre impiegate, le fibre di carbonio del tipo per la fabbricazione di compositi (C-FRP), si distinguono per il loro alto modulo di elasticità normale (210 GPa) e per la loro elevata resistenza (4.100-5.100 MPa); hanno un comportamento a rottura intrinsecamente fragile e, a confronto con le fibre di vetro (G-FRP) e con quelle aramidiche (A-FRP), risultano essere le meno sensibili ai fenomeni di scorrimento viscoso (creep) e di fatica, e sono contraddistinte da una modesta riduzione della resistenza a lungo termine.
I prodotti fibro-rinforzati a matrice polimerica (FRP), oggi giorno previsti anche dalle Norme Tecniche per le Costruzioni di cui al D.M. 17.1.2018[1] e dalla relativa Circolare n. 7/2019 C.S.LL.PP.[2], “rappresentano una assoluta novità tecnologica nel campo dell’ingegneria strutturale”, come espresso dal Prof. Franco Maceri, coordinatore della Commissione del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), che ha redatto le Istruzioni Tecniche di riferimento.
In termini di fondamento, infine, merita appena aggiungere che la suddetta soluzione tecnologica risulta conforme alle vigenti normative per gli interventi su edifici soggetti a vincolo della Soprintendenza, con riferimento al Capitolo 6 “Criteri per il miglioramento sismico e tecniche di intervento” della Direttiva P.C.M. del 9.2.2011[3], infatti:
- la costruzione conserva il funzionamento strutturale iniziale, evitando di alterare l’originale distribuzione delle masse e delle rigidezze;
- l’intervento si integra con la struttura esistente, evitando tutte le opere di demolizione-sostituzione e di demolizione-ricostruzione;
- la soluzione permette di conseguire elevati livelli di sicurezza sismica, con interventi minimali sul manufatto storico;
- l’intervento è di tipo reversibile
Ancoraggio a iniezione controllata
Per soddisfare le esigenze di conservazione del patrimonio culturale esistente, la tecnologia proposta prevede che l’elemento resistente, costituito da una barra in fibra di carbonio, sia dotato di una speciale calza tubolare in tessuto, che ha la funzione di controllare l’iniezione della matrice (resina epossidica bicomponente) effettuata coassialmente, per mezzo di appositi dispositivi di iniezione, in modo da rendere solidale l’elemento di rinforzo alla muratura.
L’ancoraggio completamente assemblato viene posizionato all’interno di un perforo di diametro 4÷5 cm, realizzato nella muratura da consolidare; la speciale calza viene riempita gradualmente durante l’iniezione, effettuata a bassa pressione, fino a completa saturazione.
Oltre a permettere la buona riuscita delle operazioni di iniezione, evitando imprevedibili e spesso dannose dispersioni in vuoti e cavità che possono essere sempre presenti nelle strutture murarie esistenti, la calza assicura l’aderenza del materiale iniettato al supporto per tutta la lunghezza.
Non si ha dispersione di matrice durante l’iniezione, in quanto essa resta contenuta nella calza che si espande adattandosi al diametro del foro ed alla conformazione del substrato; con i sistemi tradizionali, senza calza, la dispersione di matrice è molto alta e spesso è causa di notevoli sprechi e di danni ai manufatti.
Grazie al totale controllo del materiale iniettato, garantito dalla calza, si ha sicurezza della completa iniezione di resina per tutta la lunghezza dell’ancoraggio.
Le caratteristiche della calza e la sua capacità di espansione nelle irregolarità delle murature sono tali da garantire un efficace legame meccanico con il substrato (ancoraggio per ingranamento); la stessa calza, che svolge la funzione di membrana permeabile, permette inoltre alla resina di fuoriuscire superficialmente e di esercitare una funzione di collante a diretto contatto con la muratura, sia a livello superficiale che in profondità, grazie alle caratteristiche di porosità del substrato (ancoraggio per adesione).
L’iniezione della resina avviene controllando (al secondo) la velocità, la pressione, l’indurimento, lo sviluppo della temperatura; il grado e il progredire del riempimento viene monitorato costantemente in endoscopia sul display del computer collegato al cavo coassiale della sonda inserita nell’interstizio del perforo.
Ancoraggio attivo
Per l’applicazione in questione si è prevista, preliminarmente all’iniezione della matrice che renderà solidale l’ancoraggio al substrato, una pre-sollecitazione della barra in fibra di carbonio, ovvero un ancoraggio attivo, per stabilizzare le deformazioni in atto ed impedirne ulteriori sviluppi, immediatamente efficace.
Stante le caratteristiche geometriche e distributive del manufatto è stato creato un bulbo di ancoraggio in profondità, che funge da organo di ritegno, come nel caso di ancoraggi ciechi.
- Inserimento ancoraggio ad iniezione controllata con calza all’interno del preforo
- Iniezione del bulbo di profondità, dimensionato in funzione del carico di presollecitazione
- Posizionamento elementi di contrasto prov-visori o permanenti all’estremità libera
- Successivamente all’avvenuta maturazione della matrice del bulbo di profondità, dopo 2 giorni per la resina, può essere effettuata la tesatura della parte libera di barra al valore di pre-sollecitazione richiesta
- Iniezione della matrice (malta o resina) nel secondo bulbo di superficie
- Eventuale rimozione degli elementi di contrasto, se provvisori, dopo un periodo prestabilito di maturazione (2 giorni per la resina)
Sistema epossidico
Il sistema epossidico che è stato messo a punto per il consolidamento delle Catacombe di Commodilla a Roma, serve per l’inghisaggio di barre in carbonio del diametro di 10 mm e lunghezza variabile dai 4 ai 5 metri; il diametro dei fori per l’inserimento di queste barre è di 40 mm; le condizioni climatiche presenti all’interno delle catacombe sono:
- temperatura di 16 – 18 °C
- umidità relativa di ca 90 – 95 %
I requisiti base che ci siamo prefissati per la realizzazione di questo sistema si possono riassumere come segue:
- La fluidità (tixotropia) del sistema epossidico, che doveva essere tale da poter essere iniettato all’interno dei fori dove erano posizionate le barre di carbonio, ma allo stesso tempo non doveva essere troppo fluido per non scorrere in eventuali crepe o fessure presenti e/o formatesi durante la perforazione, con il conseguente rischio di danneggiamento degli affreschi sottostanti.
- La vita di banco (ovvero il tempo utile di lavorabilità in condizioni di esercizio), che dove essere di circa 60 minuti.
- L’esotermicità della reazione (ovvero la reazione di calore che si sviluppa durante la miscelazione dei due componenti del sistema epossidico), che doveva essere contenuta tra gli 80 e i 100 °C max, considerate le condizioni ambientali di elevata umidità.
- Le caratteristiche meccaniche, in particolar modo la resistenza a compressione del sistema epossidico, che doveva essere la più alta possibile in modo da reggere la pressione causata dalla profondità del luogo di applicazione.
Scelta del sistema epossidico
Si è pensato di mettere a punto un sistema epossidico rinforzato con cariche minerali.
Come resina è stata utilizzata una miscela di resine base e diluenti reattivi epossidici, per regolare la viscosità del sistema resinoso puro. Successivamente sono state selezionate le cariche minerali con granulometria variabile, dal fine al medio-fine, scelte in modo che le caratteristiche meccaniche risultanti fossero le più alte possibili.
Con lo stesso principio si è operato per la scelta del catalizzatore, che doveva conferire al sistema un’adeguata lavorabilità e consistenza, con sviluppo di calore controllato in modo da non modificarne le caratteristiche una volta utilizzato in questo specifico ambiente di applicazione.
Dopo circa un mese di lavoro e variando le formulazioni, si è arrivati ad avere un sistema epossidico (resina + catalizzatore) le cui caratteristiche rispondevano ai presupposti necessari al restauro delle catacombe.
Nel diagramma a lato sono riportate le differenti fasi della “vita di banco” rilevate nelle varie prove dei sistemi più significativi sviluppati durante lo studio della formulazione.
Dall’osservazione del diagramma si evince quanto segue:
- Linea azzurra: esotermia troppo alta, troppo corto tempo di lavorabilità del sistema.
- Linea rossa: esotermia ancora troppo alta, ma con tempo di lavorabilità del sistema migliorata.
- Linea verde: esotermia buona, tempo di lavorabilità del sistema migliorato.
- Linea viola: esotermia ottimale e tempo di lavorabilità del sistema ottimale.
L’importanza di un sistema tixotropico
Innanzi tutto è necessario chiarire che cosa si intende con il termine “tixotropia”.
La tixotropia è la proprietà di alcuni fluidi (newtoniani – pseudo plastici) di variare la loro liquidità (detta anche viscosità) sotto l’azione di una determinata forza (nel caso specifico, la pressione). A questo gruppo di fluidi appartengono, di solito, i polimeri a lunga catena e/o miscele di essi.
A riposo o per deboli forze di taglio (come per esempio l’azione provocata da un mixer di cantiere), le molecole si trovano disperse in uno stato disordinato e più o meno intrecciate fra di loro. Man mano che si applica uno stress crescente, in altre parole all’aumentare del gradiente di velocità (tre cui la velocità di miscelazione e/o la pressione), si ha il “disintrecciamento” delle catene polimeriche che si orientano tutte verso la direzione della forza impressa. L’allineamento delle particelle o delle molecole consente loro di scivolare le une sulle altre e questo comporta una diminuzione della viscosità. Cessata l’azione delle forze di taglio il fluido riprende la struttura iniziale.
Tenendo presente quanto sopra esposto si è formulato il sistema con un valore di viscosità compreso tra 20.000 e 30.000 mPas e con indice tixotropico che varia da 1,5 e 3, in modo da permettere al sistema di scorrere sotto pressione in un lasso di tempo ragionevole e che successivamente potesse riposizionarsi nella forma originale prima della polimerizzazione completa (indurimento) del sistema stesso.
Messo a punto il sistema si è proceduto ad una prova pratica di iniezione in un tubo di plastica lungo 4,5 metri e con diametro di 40 mm.
La pressione all’interno del serbatoio di iniezione e stata gradualmente aumentata sino a raggiungere un valore ottimale per la fuoriuscita completa del sistema epossidico in tempo utile per la sua lavorabilità.
Nel diagramma a lato vengono riportati i dati ottenuti.